Se la Lombardia è l’epicentro italiano della «catastrofe Covid-19», Milano è diventata il modello di riferimento per i professionisti che devono riorganizzarsi durante e dopo l’ondata del Coronavirus. E l’Ordine degli avvocati di Milano è diventato il laboratorio migliore per sperimentare azioni di contrasto alla crisi e immaginare un nuovo assetto della professione. «Questa emergenza sanitaria cambierà inevitabilmente i paradigmi e le grammatiche — avverte Vinicio Nardo, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano — si mescoleranno le competenze dell’avvocatura e le specializzazioni saranno diverse: ci sarà più interconnessione tra diritto e sanità. Serviranno giuristi che suggeriscano le regole del nuovo mondo nella contrattualistica e nel lavoro».
Le proposte

L’Ordine degli avvocati di Milano conta 24.871 iscritti, con 20.258 avvocati e 4.613 praticanti. Riunisce 1.046 tra studi associati e società tra professionisti. Si tratta di una realtà di primissimo piano nell’avvocatura italiana ed è per questo che sta proponendo alcune soluzioni contro le criticità emerse. «L’amministrazione della giustizia non è un motore a un’unica velocità — ricorda Nardo —. In questa fase il ricorso al processo telematico e alla giustizia a distanza non può valere per tutti: ciò che vale per il civile non si riscontra nel penale. Altro discorso ancora riguarda la giustizia amministrativa, che in questo momento emergenziale avrebbe deciso di fare a meno degli avvocati, introducendo una preoccupante “udienza virtuale”. Quest’ultimo provvedimento ha generato forte allarme scaturito in una delibera del Consiglio dell’Ordine di Milano inviata in primis al capo dello Stato. L’esercizio del diritto di difesa non può essere così compresso, tanto da essere così di fatto sospeso». Invece il giudice di pace, non dispone al momento di una piattaforma telematica. « Per quanto riguarda il giudice di pace — continua il presidente degli avvocati milanesi — la situazione si aggraverà a partire dal 12 maggio, quando, cessato il periodo di sospensione, alla mole di fascicoli arretrati (anche per le udienze non celebrate) si sommerà quella delle nuove iscrizioni a ruolo. Solo per dare uno spaccato della dimensione del fenomeno, si pensi che il giudice di pace di Milano ha un flusso di quasi centomila procedimenti — civili e penali — all’anno. In quel caso l’apporto telematico diventa una priorità».

Il processo telematico

Sul processo telematico però ci sono opinioni discordanti e soprattutto l’introduzione nell’ambito penale ha suscitato non poche perplessità tra gli avvocati. «Il settore civile era in parte pronto all’emergenza grazie al processo civile telematico, ormai diventato patrimonio comune — ricorda Nardo —. In effetti diverso risulta il discorso per il penale dove, in questo periodo emergenziale, ci sono state luci ed ombre. Si sono fatti salti di 10 anni introducendo opportunità che appena un giorno prima erano ritenute impossibili, ma si teme un salto indietro con un’introduzione indiscriminata di un processo telematico che metterebbe a rischio tutte le garanzie. Quindi sì a alla possibilità di depositare in via telematica atti, liste testi, impugnazioni, memorie, visione da remoto dei fascicoli e la richiesta copie, ma alla fine ci si deve trovare in aula».

Le tutele

La frenata sull’innovazione dei processi potrebbe essere letta come una posizione conservatrice nei confronti di una macchina della giustizia da sempre considerata troppo lenta e poco al passo coi tempi. «La tecnologia entrerà rapidamente nel sistema giudiziario ma i principi non devono rimanere indietro — osserva Nardo —. Per il processo penale ci si augura la scomparsa dei fascicoli che viaggiano sui carrelli grazie all’avvento del processo telematico ma la deposizione di un testimone deve essere tutelata al meglio. Nel penale ci sono attività giudiziarie che si potrebbero svolgere con l’ausilio della videoconferenza ma sempre su specifica richiesta dell’imputato (o del difensore munito di apposita procura), formulata in anticipo per consentire l’organizzazione, sia per i detenuti sia per i liberi, in aggiunta a quelle di cui la legge già impone la celebrazione». Dopo questa crisi epocale lo scenario non sarà più lo stesso, qualcuno ipotizza grandi fusioni, acquisizioni e la fine degli studi con la singola figura del dominus. Bisogna prepararsi a questo? «Bisognerà prima capire quante “vittime” farà questa crisi. È una prova molto complessa: potrebbe crescere il numero degli studi associati, potrebbe prepararsi un futuro di studi aggregati con nuove competenze trasversali. Non credo all’ipotesi di grandi network multinazionali di consulenza che inglobino anche i servizi legali. Il nostro non è un lavoro da catena di montaggio: probabilmente la scarsa liquidità indurrà a studi più numerosi ma la competenza sarà sempre di più un capitale sociale».